martedì 17 luglio 2012

Recensione #16: Il grande ritratto


Sorpresa buzzatiana

Quando Latti mi ha detto di aver comprato un romanzo di Buzzati che non conoscevo, la mia autostima ha vacillato. Buzzati è uno dei miei grandi amori, ho anche scritto la tesi triennale su di lui.
Anche partendo dal presupposto che, come dicono tutti, il Buzzati migliore è quello dei racconti, possibile che mi sia persa un suo romanzo? Ne ha scritti tre, lasciarsene sfuggire uno è abbastanza grave, no?
Superato lo choc della mia devastante ignoranza, ovviamente, mi sono fiondata su Il grande ritratto.

L’ho letto in fretta, ritrovando con piacere tutti i maggiori temi dell’autore.
In effetti, Il grande ritratto combina alcuni aspetti degli altri due romanzi. Non a caso, è stato scritto nel 1960, dopo Il deserto dei Tartari (1940), ma prima di Un amore (1963).
Come nel Deserto dei Tartari, infatti, troviamo un luogo avvolto nel mistero, a cui è legato il destino dell’uomo; e come nel Deserto dei Tartari c’è l’attesa, il desiderio, nei protagonisti e nei lettori, di svelare il mistero, che poi è sempre il mistero dell’uomo; come in Un amore, invece, il protagonista è oppresso dall’amore per una donna capricciosa e volubile; anche qui, nella relazione di coppia, l’altro sembra rimanere sempre inafferrabile.
Ritrovare tutto questo è stata proprio una bella sorpresa.

Detto ciò, senza volere giustificare in alcun modo le mie lacune, ci sono dei motivi per cui Il grande ritratto è rimasto quasi sconosciuto al grande pubblico.
Il problema è, sostanzialmente, la debolezza della trama. Il libro è diviso in due parti: nella prima, al professor Ermanno Ismani (un tipo timoroso ma competente e leale) viene ordinato di partire alla volta una località ignota, per dedicarsi a un progetto misterioso ma cruciale per il suo Paese e per il mondo intero. Questa sezione è molto vicina al Deserto dei Tartari: predominano il tema dell’attesa e l’atmosfera di mistero, quasi da romanzo giallo.
Nella seconda parte, le cose cambiano completamente: l’attenzione si sposta su Endriade, luminare inventore e responsabile del progetto. Di Ismani non si sente quasi più parlare, e il sentimento dell’attesa cede il posto a una angoscia più concreta, legata ai limiti della scienza, e ai limiti dell’amore…
Il risultato è affascinante, ma molto confuso.
Tanti spunti, anche molto affascinanti. Per citarne uno, Latti ci ha visto un riferimento al Mito della Caverna... Per me è un po’ troppo, ma sicuramente il tema della conoscenza, e delle possibilità che essa dà e toglie all’uomo, è centrale.

Diciamo che è un bel modo per ritrovare Buzzati; scoprire un suo romanzo quando pensavi di sapere già tutto su di lui, è come sentire che ha ancora una storia da raccontarti. Di certo, però, non è la sua storia più riuscita.





Insomma, se dovete avvicinarvi a questo autore straordinario, leggete Il deserto dei Tartari, o, meglio ancora i racconti (La boutique del mistero sarebbe il top, ma vanno bene tutte) J

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