sabato 14 luglio 2012

Recensione #14: Tutti i figli di Dio danzano


Frammenti giapponesi

Prima ancora di che finissi Facebook in the rain, Fede mi ha portato nella famosa edicola da mare a scegliere un nuovo libro. Scorrendo velocemente gli scaffali (le scottature dopo una giornata al mare mi impedivano di concentrarmi a lungo), ho pensato di fare un nuovo tentativo con Murakami (per chi se ne ricorda, di lui avevo già letto e recensito L’arte di correre, e mi ero ripromessa di conoscerlo più a fondo). Siccome però tutti i suoi romanzi mi sembravano un po’ altini per rispettare la regola numero 2 dei libri dell’estate, ho deciso di puntare sui racconti. Ultimamente, sto diventando una specie di esperta di racconti.

Così mi sono avventurata in Tutti i figli di Dio danzano.
È una raccolta di solo sei racconti, tutti piuttosto brevi; slegati, ma con alcuni punti in comune.
Per prima cosa – come saggiamente sottolinea la quarta di copertina – tutte le storie raccontano un incontro. Tutti i protagonisti (casi tipici, come la ragazza scappata di casa, il grigio impiegato di banca, il marito abbandonato, la dottoressa in menopausa…), per ragioni diverse, sono bloccati in una vita che non li soddisfa, quando, improvvisamente, incontrano qualcuno che dà una piccola scossa alla loro quotidianità.

La cosa strana è che la scossa non è risolutiva, o, se anche lo è, al lettore non è dato di saperlo. Il racconto, infatti, puntualmente, si conclude con la fine dell’incontro. Frustrante? Non direi. Per chi, come me, ama i finali aperti, questa raccolta potrebbe sembrare una manna. In realtà, però, forse non è neanche questo il punto: l’impressione è che, per una volta, il finale davvero non conti. Questi racconti non presentano il percorso di crescita dei protagonisti, ma solo la loro situazione, la loro debolezza attuale. A pensarci bene, sembra quasi che gli incontri servano, più che a dare al lettore la speranza di una soluzione, a raccontargli la fragilità del presente. Non per niente, sullo sfondo c’è il continuo riferimento al terremoto di Kobe (che, tra l’altro, è la patria dell’autore) del 1995. Cosa fa percepire all’uomo la precarietà della sua condizione più della furia imprevedibile di un terremoto? Ecco, gli incontri di questo libro sono un po’ come dei piccoli terremoti: arrivano inaspettati, smuovono, danneggiano, feriscono… e lasciano danni e macerie da raccogliere, riconsiderare e ricostruire, dopo.

Sì, dopo. In Tutti i figli di Dio danzano, infatti, non c’è nessun fremito di ottimismo buonista, nessuno di quegli slanci di ricostruzione che conosciamo da tanti film americani. Mi viene da dire che qui c’è una specie di passività orientale. Un modo di guardare alla vita, e alla felicità, che è diversissimo da quello a cui sono abituata. È forse cinico, decisamente malinconico... Forse, per gli amanti dell’azione e del lieto fine, sarà di poca soddisfazione; ma per me senza dubbio è stato interessante.
Io non sono mai stata in Oriente; il mio unico contatto con il Giappone fino a oggi veniva dai Manga letti alle medie (e non ne andavo fiera). Con questo libro, per la prima volta, ho avuto la sensazione di quanto la cultura giapponese possa essere distante dalla mia. E ne sono rimasta affascinata.
Forse non è stata la lettura più appassionante dell’anno, ma penso che ne sia valsa la pena.

 
Quanto a Murakami… credo che avrò bisogno di leggere un suo romanzo, per inquadrarlo una volta per tutte :)

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