martedì 29 maggio 2012

Recensione #11: La casa di via Valadier


Triste attualità di un classico


Visto che in una delle mie ultime recensioni (qui) mi sono scagliata contro il lavoro approssimativo di alcuni editori, comincerò questo post elogiando il formato e il paratesto dell’ultimo libro letto.


Trovo che la mia edizione della Casa di via Valadier (BUR, La Scala, 2001) sia piuttosto affascinante: per prima cosa, il volume non è troppo alto (poco più di 130 pagine). Il progetto grafico è interessante, con la sua copertina sobria a toni spenti. I testi sono accompagnati da una breve quanto utile prefazione di Geno Pampaloni. E veniamo infine alla scelta dei testi: si tratta di due racconti (Esiliati e La casa di via Valadier), scritti in due momenti diversi e legati da un personaggio ponte, che è protagonista nel primo, e comparsa nel secondo. Sono due testi che stanno bene insieme, due testi che creano un insieme interessante.
Insomma, La casa di via Valadier è un libretto ben costruito.

Un libretto in cui si parla di tante cose: di fascismo socialismo e comunismo, di politica, di corruzione e disoccupazione, di guerra e malattia, di colpa innocenza e perdono; il tutto con termini e toni di un’attualità quasi inquietante. Si parla anche di Roma, tanto. Roma caotica e malmostosa, in Esiliati; e Roma scintillante, in cui si torna sempre con un tuffo al cuore, oppure in cui si rimane, come intrappolati, in La casa di via Valadier. Roma a cui si fa ritorno, per fare i conti col passato.
I personaggi sono decisamente troppi ma molto interessanti. Quasi tutti delineati in pochi tratti, e quasi tutti sfaccettati. Bella la figura di Leonardo, prima aspirante giornalista schiacciato dalla memoria di uno zio famoso, e poi giornalista affermato, che fa ritorno nei luoghi dell’infanzia per fare i conti con la memoria di suo padre. E suo padre: l’avvocato Turri è chiaramente pensato per essere antipatico al lettore. Il suo carattere ignavo e opportunista è contrapposto a quello, retto fino all'ingenuità, della sorella Anita. Ebbene, questa figura così negativa viene vista sotto una luce nuova nella conclusione, proprio da Leonardo, che prima si vergognava della (tardiva e quasi segreta) adesione al fascismo del genitore… Colpo di scena? Non direi. Il linguaggio spoglio, lo stile lineare, l’insistenza sui dettagli fanno sembrare tutto normale, quasi banale. E questo alimenta il contrasto con la drammaticità e la durezza dei fatti narrati, e alimenta la sensazione di ansia.
Il risultato è piacevole e fa riflettere. Ed è un risultato invidiabile, perché, se probabilmente non cambia la vita di nessuno, sicuramente supera le altissime barriere del mero intrattenimento.

E se tutti questi argomenti ancora non vi hanno convinto, sappiate che questo è il primo libro che abbia appassionato tutti i membri del mio Club di Lettura J

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