Tutto è cominciato molti anni fa, ed è andato avanti fino al mese scorso. Di Lucarelli mi parlavano tutti: dai professori all’università, ai colleghi al lavoro. Lo conoscevano gli amanti dei libri e dei fumetti, e anche quelli che semplicemente guardavano la tv. Tutti tranne me.
Chiunque abbia letto almeno un altro dei miei post
può immaginare come vada avanti questa storia: la mia curiosità si accende, ma
non si attiva, fino al giorno in cui una improbabile serie di eventi (in questo
caso una vacanza immeritata, dei piacevoli ricordi di gialli letti in spiaggia,
e un fidanzato che ha in casa proprio quello che stavo cercando) mi mette in condizione
di collocare anche questo autore nel mio personalissimo e totalmente
disordinato bagaglio culturale.
Al termine di questa particolare indagine, però,
mi permetto di sconsigliare ai miei lettori di imitarmi.
Ma infatti, qui il problema non è l’autore, ma il
libro.
Il lato
sinistro del cuore è la raccolta di alcuni dei suoi racconti. A quanto
pare (lo leggo dal retro della copertina e dall'introduzione), l’autore ha operato una spietata
selezione tra i suoi scritti che non sono diventati romanzi/film/fumetti/trasmissioni
televisive o altro, per propormi un accattivante concentrato della sua
produzione. Ma forse già qui dovrei pormi una domanda: se Lucarelli stesso si definisce un romanziere, e tende a trasformare gli spunti brevi in testi più
articolati, non sarà che questi racconti sono un po’ dei refusés, per non dire degli scarti?
La faticosa lettura di questi più di cinquanta
racconti, per un totale di più di 350 pagine, mi ha dimostrato che è proprio
così.
Sia chiaro, alcuni sono davvero riusciti (Julien, Garganelli al ragù della Linina, Cornelius, giusto per citarne qualcuno); ma molti altri potevano davvero rimanere nel dimenticatoio (ecco qualche altro esempio: La notte in cui mio nonno diventò un lupo mannaro, Il gatto, Etienne...). Il risultato? Un ammasso raffazzonato di cose troppo diverse.
Sia chiaro, alcuni sono davvero riusciti (Julien, Garganelli al ragù della Linina, Cornelius, giusto per citarne qualcuno); ma molti altri potevano davvero rimanere nel dimenticatoio (ecco qualche altro esempio: La notte in cui mio nonno diventò un lupo mannaro, Il gatto, Etienne...). Il risultato? Un ammasso raffazzonato di cose troppo diverse.
Ma allora, mi chiedo, perché mettere insieme un libro come questo? Credo che la
risposta sia una sola, e che sia anche molto semplice: per guadagnare.
Altrimenti, sono sicura che la qualità del
prodotto sarebbe stata un pelino più alta.
Una delle poche cose che ho imparato all’università
è che, in una raccolta, i testi vengono riuniti secondo uno o più criteri che
danno una forma all’opera, e forniscono chiavi interpretative ai lettori.
Bene, io qui non trovo nessun criterio; neanche quello della completezza, visto
che l’autore stesso mi dice per comporre questo libro ha preso in esame quasi tutta la sua produzione, e che
qualcosa potrebbe anche essergli sfuggito. Come dire che lui e i suoi curatori
non si sono presi neanche la briga di fare un controllino, e si sono limitati
ad affastellare un elenco troppo lungo di testi più o meno interessanti senza
nemmeno preoccuparsi di sottoporli a un editing decente (probabilmente ci sono
meno refusi nella mia tesi di laurea, che è tutto dire).
Se trovassi un prodotto così scadente nel catalogo
dell’ultima casa editrice suburbana, probabilmente mi innervosirei, e direi che c'è un motivo se i piccoli editori oggi non sopravvivono. Ma da Einaudi, e al
prezzo di copertina di 13 euro, sinceramente mi sembra un furto.
Mi si conceda infine una considerazione generale:
nel delirante panorama culturale contemporaneo, in cui qualunque curiosità può
essere sfamata in due clic, e in cui chiunque può costruirsi la cultura eclettica
o settoriale che vuole, quello che manca ai lettori non sono gli stimoli, ma i
prodotti di qualità. Se anche una casa editrice con pretese culturali come la
Einaudi (che poi è sempre Mondadori, ma questa è un’altra storia) rinuncia al
suo ruolo, e si limita a stampare roba senza criterio e senza attenzione, l’editoria
può anche smettere di esistere. Poi però non ci si lamenti se le persone non
sanno più distinguere un buon libro da un ammasso di parole.
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