lunedì 14 maggio 2012

Recensione #10: Il lato sinistro del cuore

Un ammasso disordinato


Tutto è cominciato molti anni fa, ed è andato avanti fino al mese scorso. Di Lucarelli mi parlavano tutti: dai professori all’università, ai colleghi al lavoro. Lo conoscevano gli amanti dei libri e dei fumetti, e anche quelli che semplicemente guardavano la tv. Tutti tranne me.
Chiunque abbia letto almeno un altro dei miei post può immaginare come vada avanti questa storia: la mia curiosità si accende, ma non si attiva, fino al giorno in cui una improbabile serie di eventi (in questo caso una vacanza immeritata, dei piacevoli ricordi di gialli letti in spiaggia, e un fidanzato che ha in casa proprio quello che stavo cercando) mi mette in condizione di collocare anche questo autore nel mio personalissimo e totalmente disordinato bagaglio culturale.
Al termine di questa particolare indagine, però, mi permetto di sconsigliare ai miei lettori di imitarmi.

Su Lucarelli come autore non ho niente da ridire: si vede che è uno che sa raccontare. Sa creare il mistero e l’ansia, sa far ridere, sa essere ironico, sa stupire. A istinto, direi che rende meglio nei romanzi che nei racconti brevi, ma non avendo letto nessun romanzo non vorrei sbilanciarmi.
Ma infatti, qui il problema non è l’autore, ma il libro.


Il lato sinistro del cuore è la raccolta di alcuni dei suoi racconti. A quanto pare (lo leggo dal retro della copertina e dall'introduzione), l’autore ha operato una spietata selezione tra i suoi scritti che non sono diventati romanzi/film/fumetti/trasmissioni televisive o altro, per propormi un accattivante concentrato della sua produzione. Ma forse già qui dovrei pormi una domanda: se Lucarelli stesso si definisce un romanziere, e tende a trasformare gli spunti brevi in testi più articolati, non sarà che questi racconti sono un po’ dei refusés, per non dire degli scarti?
La faticosa lettura di questi più di cinquanta racconti, per un totale di più di 350 pagine, mi ha dimostrato che è proprio così.
Sia chiaro, alcuni sono davvero riusciti (Julien, Garganelli al ragù della Linina, Cornelius, giusto per citarne qualcuno); ma molti altri potevano davvero rimanere nel dimenticatoio (ecco qualche altro esempio: La notte in cui mio nonno diventò un lupo mannaro, Il gatto, Etienne...). Il risultato? Un ammasso raffazzonato di cose troppo diverse.

Ma allora, mi chiedo, perché mettere insieme un libro come questo? Credo che la risposta sia una sola, e che sia anche molto semplice: per guadagnare.
Altrimenti, sono sicura che la qualità del prodotto sarebbe stata un pelino più alta.

Una delle poche cose che ho imparato all’università è che, in una raccolta, i testi vengono riuniti secondo uno o più criteri che danno una forma all’opera, e forniscono chiavi interpretative ai lettori. Bene, io qui non trovo nessun criterio; neanche quello della completezza, visto che l’autore stesso mi dice per comporre questo libro ha preso in esame quasi tutta la sua produzione, e che qualcosa potrebbe anche essergli sfuggito. Come dire che lui e i suoi curatori non si sono presi neanche la briga di fare un controllino, e si sono limitati ad affastellare un elenco troppo lungo di testi più o meno interessanti senza nemmeno preoccuparsi di sottoporli a un editing decente (probabilmente ci sono meno refusi nella mia tesi di laurea, che è tutto dire). 

Se trovassi un prodotto così scadente nel catalogo dell’ultima casa editrice suburbana, probabilmente mi innervosirei, e direi che c'è un motivo se i piccoli editori oggi non sopravvivono. Ma da Einaudi, e al prezzo di copertina di 13 euro, sinceramente mi sembra un furto.

Mi si conceda infine una considerazione generale: nel delirante panorama culturale contemporaneo, in cui qualunque curiosità può essere sfamata in due clic, e in cui chiunque può costruirsi la cultura eclettica o settoriale che vuole, quello che manca ai lettori non sono gli stimoli, ma i prodotti di qualità. Se anche una casa editrice con pretese culturali come la Einaudi (che poi è sempre Mondadori, ma questa è un’altra storia) rinuncia al suo ruolo, e si limita a stampare roba senza criterio e senza attenzione, l’editoria può anche smettere di esistere. Poi però non ci si lamenti se le persone non sanno più distinguere un buon libro da un ammasso di parole. 

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