domenica 18 marzo 2012

Recensione #4: Il grande Gatsby

Un gentiluomo immobile

Mentre leggevo Il grande Gatsby, pensavo che molto probabilmente la mia amica Giulia l’aveva odiato (su quante delle mie amiche si chiamino Giulia,  forse un giorno dovrò scrivere qualcosa).

Dopo molti anni di amicizia e confronti, ho imparato che Giulia detesta una particolare categoria di libri, che di solito gli altri apprezzano: sono i libri in cui il protagonista è molto realistico, e molto realisticamente intrappolato in una situazione immobile (come Madame Bovary, tanto per fare un esempio).

Tralasciando la tenerezza che mi provoca il dinamismo della mia amica, dirò che Il grande Gatsby ha in effetti tutti i numeri per innervosirla: c’è il clima annoiato e frivolo della borghesia americana ai tempi del proibizionismo, con i suoi sprechi e le sue feste fino al mattino; ci sono i personaggi statici  e bloccati, che animano le serate per nascondere il loro vuoto; c’è un narratore volenteroso e inetto, che racconta questo ambiente senza riuscire a capirlo né a cambiarlo… e poi c’è lui, Jay Gatsby: che vive in una bolla di ossessioni e deliri di onnipotenza. Che è tutt’altro che un personaggio statico, ma che d’altra parte è talmente accecato dalle sue visioni da non poter arrivare a niente.

Bene, questo libro avrà anche urtato i nervi della Giulia, ma io lo trovo veramente bello.
Intanto, devo dire che la traduzione della Pivano è davvero emozionante: i periodi sono vaghi e leggeri, e mi sembra che ricalchino perfettamente lo spirito del racconto.
E poi il racconto! La trama in sé non ha niente di davvero originale (il giovane self made man, pazzo d’amore per la giovane borghese, costruisce un impero e ordisce trame e infine si rovina la vita per strappare la fanciulla alle grinfie di un marito prepotente e insensibile… direi che l’abbiamo già sentita). Ma il modo in cui è raccontata è davvero magistrale: ogni elemento è al suo posto; tutto viene detto al momento giusto, in un gioco attentissimo di anticipazioni e flashback. Il risultato è un resoconto critico e struggente, raccontato dagli occhi increduli di un narratore estraneo. E anzi, direi che è proprio il narratore a completare perfettamente il quadro: da un lato, la sua voce distaccata e un po’ ingenua crea un contrasto efficace con la gravità dei fatti che racconta, al punto che leggendo continuavo a chiedermi se avevo capito bene, se non mi stavo immaginando tutto; e dall’altro, il fatto che almeno chi racconta non appartenga al mondo delirante che descrive crea con il lettore un certo senso di solidarietà e sollievo... Forse è un espediente un po’ anni Venti, ma devo dire che con me funziona benissimo :)


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