mercoledì 21 marzo 2012

Incursioni Musicali: episodio #3


Anche un I-pod riesce a  sorprendermi.

Sicuramente avrete notato che la riproduzione casuale dei brani del nostro caro (in tutti i sensi) lettore mp3 di casuale ha davvero poco. Servendosi di un misterioso algoritmo, il suo piccolo cervello elettronico elabora delle teorie del tutto arbitrarie sulle nostre canzoni preferite, e ce le ripropone ossessivamente.  Per volontà sua, quindi, riascoltiamo Rolling in the deep di Adele tre volte nell’arco di un’ora. Bella canzone, non c’è che dire, ma dopo un po’…. BASTA!
Dopo questa premessa – che mi piacerebbe venisse commentata da qualche sviluppatore della Apple –  cominciamo la mia storia.

 Oggi, evento straordinario, il mio amato I-pod, contro ogni umana previsione,  ha selezionato niente meno che Jeff Buckley. Cosa?? Avevo l’intero album Grace in versione digitale e me ne ero completamente dimenticata? Sono imperdonabile!
Questa falla nell’algoritmo  mi ha ricordato che avrei dovuto recuperare questo album, che in effetti ha segnato, insieme alla mia vita, quella di tutta la mia generazione. Così ho fatto, e la mia mente si è persa nei meandri dell’adolescenza…  

 

1995. Piccolo negozio di dischi del quartiere. Entro per comprare l’album di esordio di Sheryl Crow: “Tuesday Night Music Club”. Come in “Alta fedeltà”, il proprietario era solito far ascoltare nuovi album ai suoi avventori. Quella sera stava intrattenendo un assorto compratore con l’album d’esordio di un nuovo cantautore californiano,  un misto tra Cohen, Dylan e Van Morrison.  Per la prima volta, quella sera ho ascoltato la voce del giovane Jeff, figlio d’arte (il padre era Tim Buckley). In due minuti ho capito che Sheryl Crow poteva aspettare (ndr. non ho mai comprato un suo album). Ho preso Grace. E ho fatto bene.


Le canzoni di Buckley hanno il sapore di salmi antichi,  con cui si dà voce all’intera esperienza umana. È un viaggio nell’anima, emozionante e impegnativo.
Cantore delle sfaccettature dell’amore e del dolore,  non solo nei testi, tormentati e poetici, ma anche nelle linee melodiche, negli arrangiamenti e nella voce. Voce struggente, la sua,  e, al contempo, eterea. 
Ho ascoltato quell’album come un mantra, una volta al giorno per settimane, forse mesi.
Ho amato le chitarre di So real, la dolcezza di Last Goodbye che si assapora non solo nelle parole ma soprattutto nell’incanto nostalgico della voce, l’arpeggio di Mojo pin, gli acuti strazianti che rubano l’anima di Grace. Ho amato le sue versioni di Halleluja di Leonard Cohen e di Lilac wine di Nina Simone.

1997. Terza fila laterale, banco di sinistra, III liceo classico, lezione di italiano. Il mio compagno Guido mi lancia un bigliettino dall’ultima fila: “Ieri a Radio Popolare hanno detto che Jeff Bucley è morto, affogato in piscina. Il corpo non è stato trovato!”. Mi giro, lo guardo attonita e gli chiedo,  incurante di  Montale spiegato a tre settimane dalla  maturità:  “Stai scherzando? Cosa dici? Scusa, ma che piscina aveva?”. Non si è accorto di quanto fosse assurda la sua affermazione.  Per un attimo penso ad una strana presa in giro. Ma in fondo lo so, è vero. Rido, per non fargli vedere che a stento trattengo le lacrime. “Non ricordo bene; forse era il Mississippi e  il corpo lo hanno trovato”.  Già, se lo era portato via il Mississippi. Quel pomeriggio non ho studiato; come un saluto, ho riascoltato tutto l’album, nella solitudine della mia stanza.


My fading voice sings of love
But she cries to the clicking of time,
Wait in the fire...” – Grace –

Soundtrack:
“Grace”-Grace , 1994

Nessun commento:

Posta un commento